28-12-2021

UN MODO NUOVO DI VIVERE SOSTENIBILITÀ IN CUCINA

BIG – Bjarke Ingels Group,

Rasmus Hjortshoij, Ditte Isager,

Ristoranti,

Food,

NOMA, David Thulstrup, René Redzepi,

l'idea è di tornare alla terra, e sviluppare un'identità culinaria che affonda le sue radici nell'ordine naturale della vita stessa... Al centro, questo tipo di cucina è una celebrazione della vita: deliziarsi con i molteplici funghi, le bacche e le erbe sotto i tuoi piedi; i pesci dei tuoi laghi; le formiche sui tuoi alberi; anche i lieviti selvatici e i batteri nella tua aria. La tua terra è viva, dice la dottrina neo-nordica, e anche tu; e quando tu non sarai più vivo, la terra vivrà ancora, come sempre. È un’ideologia soprattutto - non solo una fetta di ravanello e un ago di pino su un piatto - e accoglie con zelo tutti i convertiti



<strong>UN MODO NUOVO DI VIVERE SOSTENIBILITÀ IN CUCINA</strong><br />
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Alla fine degli anni ’90 in Danimarca e negli altri paesi nordici si sono manifestate correnti che, in contrasto con certe tendenze dominanti in quel momento, intendevano rivalutare un patrimonio locale, culturale ed ambientalistico, supportando stili e comportamenti di vita improntati ad una filosofia rispettosa di un’autentica sostenibilità e di tradizioni locali che si stavano a poco a poco perdendo. Animato da queste aspirazioni, desideroso di infrangere rigide regole per poter competere in termini nuovi e locali con le produzioni hollywoodiane imperanti, escludendo l'uso di elaborati effetti speciali o tecnologia, si era sviluppato un movimento cinematografico, avviato dai registi danesi Lars von Trier e Thomas Vinterberg, compendiato in 'Dogme 95 Manifesto’. Concepito come ribellione ai dettami di un cinema mediocre e commerciale omologante, e tentativo per “riconferire il potere ai registi come artisti", si appellava all’importanza di valori più tradizionali, come storia e recitazione. Attraverso un insieme di prescrizioni si preoccupava di ‘purificare’ il settore, rifiutando effetti costosi e spettacolari, modifiche post-produzione ed altri espedienti tecnici. Dichiarava il ‘Voto di Castità’ da parte degli autori, considerando obiettivo supremo rieducare e riuscire a comunicare con un pubblico "alienato o distratto dalla sovrapproduzione”. La ricerca focalizzava su ingredienti che soddisfacessero esigenze di autenticità: il setting si raccomandava che, evitando "l'alienazione geografica e temporale”, fosse prescelto in situazioni naturali locali, non alterato o artefatto da scenografie o elementi estranei, effetti ottici e filtri.
 
Le restrizioni tecniche avevano lo scopo, attraverso una sorta di pulizia del linguaggio visivo, di dare priorità ai contenuti ed i vari promotori affermavano a questo proposito che sarebbe stato molto interessante “invitare registi, talenti di alto profilo, autori di produzioni molto ben vestite, dove strati e strati adombravano la verità con enormi meccanismi attorno ad essa”, e scoprire cosa celavano tutti quei vestiti. Dogme, elaborato per "salvare" il cinema, come sostiene Vinterberg, pioniere del collettivo, "è sempre stato pensato per essere un'onda, e le onde non durano per sempre”, ma il movimento, anche se si è via via corrotto, ha influenzando l'arte e la cultura su larga scala. Come sostiene un articolo che è stato dedicato da Guardian avrebbe addirittura reinventato la Danimarca: “l'innovativo manifesto del 1995 non ha solo scosso il cinema. Ha ispirato i Danesi a realizzare la TV, gli edifici e il cibo migliori del mondo... È stato uno spartiacque per tutta la Danimarca ed avrebbe incarnato il suo rinascimento culturale”.
  Quasi parallelamente a questo fermento molto provocatorio che non accettava l’appiattimento uniformante di mode acclamate che per l’esubero dei mezzi economici a disposizione soffocavano vere e proprie identità, voci interessanti e degne di essere ascoltate anche se meno altisonanti, si stavano infatti diffondendo idee che, animate dalle stesse affinità ed analogie, in un ambito completamente differente, cercavano il riscatto di un’espressione più nazionale e più individuale. È per iniziativa di due chef danesi, appassionati attivisti alimentari, che vengono formalizzati nel 2004 in un New Nordic Food Manifesto i principi che, come veri e propri dogmi, fissano la regolamentazione di una nuova corrente culinaria che, contro i dettami di stili universalmente osannati per i loro elaborati e raffinati procedimenti, supporta e caldeggia una completa rinascita della cucina nordica. "Purezza, semplicità e freschezza” maggiore uso di cibi stagionali, ingredienti che beneficiano del clima, dell'acqua e del suolo della regione sono i dettami che divulga questa ideologia, nata non per imporre ma per promuovere attraverso la collaborazione dei più importanti chef delle regioni del Nord una vera e propria inclusività, in grado di attivare ed aiutare tutti gli attori della catena alimentare, dai produttori che si sarebbero dovuti impegnare a non trasgredire questa vera e propria etica comportamentale, rispettosa dell’ambiente e della biodiversità, all’industria che non avrebbe dovuto contaminare il prodotto garantito all’insegna della naturalità. Coinvolgendo e stimolando una presa di coscienza, si intendeva contribuire non solo a quello scenario che è doveroso lasciare in eredità ai propri figli ma ad una condizione che si prospettava vincente dal punto di vista gastronomico, in termini di esportazione, turismo e agli effetti della salute di ogni individuo e dell’intera comunità. Il programma riuscirà a perseguire il suo intento, destando da subito grande interesse da parte del parlamento danese e del consiglio nordico, ricevendo sostegno e finanziamenti.
 
L’anno prima di indire il simposio per discutere e sottoscrivere il Manifesto, i due intraprendenti pionieri, il danese Claus Meyer ed un altro chef di origine macedone-danese, René Redzepi, avevano aperto in compartecipazione il ristorante ‘NOMA’, acronimo che sta per “Nordisk mad”, in danese “cibo nordico”. La loro cucina riceverà i riconoscimenti più prestigiosi e farà parlare il mondo per la semplicità e freschezza dei loro piatti, eseguiti con una straordinaria maestria ed originalità. Meyer nel 2013 rinuncerà alla maggioranza della propria quota, lasciando all’ex socio la piena guida di un locale che non finirà di stupire, perché continuerà a rinnovarsi con sorprendente creatività, ricevendo quest’anno, per la quinta volta, il premio più importante della gastronomia mondiale, miglior ristorante del mondo, secondo la classifica annuale The World’s 50 Best Restaurants.
  NOMA, o NOMA 2.0, come viene ultimamente menzionato, dopo una pausa di un anno, ha riaperto rinnovato fuori dal centro città, scegliendo come destinazione una lingua di terra che si protende con grande estensione lungo le acque di un lago, offrendo la possibilità di coltivare e foraggiare molti degli ingredienti parte di quel celeberrimo ed ambito elenco di proposte che riesce a provocare mesi di prenotazione. Al confine di un quartiere molto particolare, dove si respira aria di anarchia e forte clima artistico, sede della comunità autonoma di Freetown Christiania, si trova la lunga struttura lineare di un ex magazzino militare che, lasciato per anni abbandonato, è stato trasformato con altri 11 edifici individuali, che si presentano come una sorta di enclave comunitaria, in fattoria biodinamica sperimentale, un insieme di attività correlate e di supporto al nucleo centrale, dalle cucine di preparazione, ai laboratori di fermentazione, alle serre ed i giardini. Autore del progetto di ristrutturazione, un intervento che suggerisce il sapore del passato ritrovato nella sua contemporaneità, interpretandolo con una semplicità elegante ma non ostentata è Bjarke Ingels, di BIG Architects.
 
Il cammino si snoda tra aromi e fragranze che inebriano ed abituano a momenti lontani e a ritmi perduti. È il mondo ritrovato di Redzepi, fatto di prodotti vegetali ed ingredienti selvatici, ormai dimenticati, da lui e dal suo team qui appositamente coltivati e foraggiati per essere poi esaltati sul piatto nei modi più complessi ed inaspettati. La disposizione progettuale nasce appunto dalla volontà, inscindibilmente legata alla filosofia di René, di rendere gli ospiti il più possibile partecipi 'dell’intimo giardino-villaggio’ e di un palcoscenico, cuore pulsante e centro focale di tutto l’insieme, dove il celebre chef ed il suo team si esibiscono in un gioco d’orchestra tra i più spettacolari, una performance che rilascia adrenalina. Da ogni angolo, ognuno gode di una visione globale perfetta, può condividere la preparazione dei piatti e rimanere in costante contatto con la natura, grazie alle grandi vetrate e ai lunghi lucernari, che accompagnano i passaggi, facendo veramente vivere e palpabilmente percepire le trasformazioni legate al susseguirsi delle stagioni e delle condizioni meteorologiche. Redzepi dimostra una grande sensibilità estetica che non si limita solamente alla presentazione raffinata ed artistica dei suoi piatti ormai diventati un mito, ma si estende anche al concepimento dell’ambiente che fa da cornice, affidato a David Thulstrup, un architetto con cui si è trovato in particolare sintonia riguardo al mood che desiderava ispirassero gli interni. Gli sforzi di Thulstrup sono stati rivolti a soddisfare l’esigenza primaria di un’armoniosa sinergia tra ricerca culinaria, basata su tradizione e modernità, ed interni, garantendo un’esperienza che si rivelasse immersiva e rilassante e soprattutto trasmettesse la sensazione di trovarsi in un ambito molto familiare.

Parecchi sono gli accorgimenti che aiutano a sentirsi connessi ed empaticamente attratti dal contesto che alle grandi qualità spaziali sa coniugare un piacevole senso d'intimità. È un pò come se si venisse accolti in una residenza privata e non in edificio ad uso ristorazione, manca persino la classica reception e chi man mano arriva ha la libertà di lasciare i propri oggetti personali, e magari anche le scarpe, entro gli armadi che fiancheggiano il padiglione destinato all’ingresso. Tra i materiali, il legno gioca il ruolo di protagonista, sedie in legno affumicato, tavoli con assi di quercia come ripiano e molti altri pezzi d’arredo, appositamente disegnati e realizzati rispolverando e riutilizzando vecchie tecniche di artigianato locali, scaldano la parte interna dei gusci di cemento grezzo o mattoni, modellando il tono conviviale che aleggia ed impronta, senza cadere nella banalità, il carattere di un ristorante, che è divenuto un cult del suo genere. Niente viene trascurato e ogni minimo dettaglio è curato con particolare devozione: i servizi da tavola accompagnano con le combinazioni più appropriate il susseguirsi delle portate stagionali, enfatizzate dalla complicità creata tra luce diurna naturale e luce artificiale. Sul pavimento a realizzato con grandi pietre di fiume opere d’arte, sparse qua e là, trovano la loro esaltazione. NOMA, come qualcuno ha sottolineato,“ha integrità, ti fa sentire a casa”, è uno dei pregi, fra i tanti, che viene elogiato per la cordialità ed informalità con cui il proprietario accoglie tutti.
  Voci tra le più autorevoli sono unanimemente d’accordo nel convenire che "René non segue tendenze, ma è lui che crea le tendenze”. Tanto che un famoso critico gastronomico, Jeff Gordinier, che ha scritto per ‘The New York Times' ed ora per ‘Esquire’, ha deciso di seguirlo in tutte le sue deliranti avventure, divenendo gradualmente uno dei suoi più entusiastici sostenitori e dedicando un libro al suo genio creativo e alla sua forte personalità. Renè non ha mai smesso di esprimersi in termini anticonvenzionali, rimaneggiando la tradizione con l’audacia di una semiotica davvero insolita e molto diversa da quella dei gesti comuni e a partire da quelle gemme, inserite in passato nel suo menù, che hanno creato tanto scalpore, dai ‘gamberi enormi ricoperti di minuscole formiche nere’, ai ‘fogli di cioccolato bianco incrostato di larve di api croccanti’, ha continuato nelle sue esplorazioni, con la stessa capacità di stupire ed emozionare. Ha saputo destare ammirazione, fissando parametri di una stravaganza che nasce dalla semplicità, rimanendo sempre coerente ad una fede, quella della celebrazione attenta della naturalità dei prodotti, dedito al culto del rispetto di quelle cadenze e cicli che vengono spesso infranti. Quello che lo ha sempre contraddistinto, rendendo la New Nordic Cuisine una vera rivoluzione, è stata “l’idea è di tornare alla terra, e sviluppare un'identità culinaria che affonda le sue radici nell'ordine naturale della vita stessa... Al centro, questo tipo di cucina è una celebrazione della vita: deliziarsi con i molteplici funghi, le bacche e le erbe sotto i tuoi piedi; i pesci dei tuoi laghi; le formiche sui tuoi alberi; anche i lieviti selvatici e i batteri nella tua aria. La tua terra è viva, dice la dottrina Neo-Nordica, e anche tu; e quando tu non sarai più vivo, la terra vivrà ancora, come sempre. È un’ideologia soprattutto - non solo una fetta di ravanello e un ago di pino su un piatto - e accoglie con zelo tutti i convertiti”.
  Sarà un uomo in particolare, molto carismatico, e con una vita altrettanto interessante, a suscitare questo interesse iniziale di Redzepi per la natura selvaggia e quegli ”ingredienti che la maggior parte della gente non ha mai saputo che fossero ingredienti”. Roland Rittman, un raccoglitore, ‘il nonno delle erbe selvatiche’, come viene definito, lo approccerà la prima volta offrendogli i funghi che era solito trovare, e continua a cercare nei boschi e lo affascinerà con quei suoi racconti pieni di competenza, aneddoti e tanto sapere su bacche di aglio orsino salate. Appassionato difensore del patrimonio naturale della sua terra, la Svezia meridionale, si è visto costretto, a causa di due circostanze che per molti anni lo hanno allarmato e tanto preoccupato, al ruolo non previsto di attivista eco-rivoluzionario, combattendo due grandi nemici: il piano Ørestad, supportato, quando era giovane universitario, dal ministro Tage Erlander, che minacciava la megapolizzazione della Scania e della Zelanda e la centrale nucleare di Barsebäck, che verrà dismessa solo nel 1997, dopo accese proteste e manifestazioni di opposizione della ristretta pluralità di cui faceva parte. Sarà questa serie di pericoli incombenti sull’ecologia particolarmente unica della sua regione che lo spingerà allo studio approfondito delle foreste, delle coste e dei prodotti intatti nascosti al loro interno, approcciando una serie di scienze connesse al mondo ambientalistico. E con l'idea di tornare alla terra, dalla passione amatoriale per la raccolta di erbe selvatiche, funghi e frutti di bosco nascerà casualmente una collaborazione tra Rittman e molti ristoratori che, come lui convinti dell’importanza di tutelare la preziosità del patrimonio naturale, decideranno di sviluppare questa nuova tendenza culinaria.
 


La tendenza ha avuto molti proseliti e al momento l’eco-ristorazione è il mantra ricorrente che accomuna rock star della cucina ad aspiranti più modesti e meno ambiziosi. Ci sarà anche occasione di assistere a casi decisamente eccentrici di chi, animato dal sogno di poter vivere grazie ai proventi di un’esistenza a stretto contatto con la natura, si dedicherà alla raccolta di bacche, radici ed erbe edibili dimenticate aggiungendo alla ricerca ingredienti decisamente sorprendenti. Le cucine diventeranno teatro di esperimenti spericolati, rompendo la prevedibilità con un’audacia sempre più estranea agli schemi di una consueta normalità. Thomas Laursen, noto nel settore del cibo come ‘l’Uomo delle Formiche’ ha reso possibile arricchire le esperienze dei migliori e più eccentrici ristoranti con il sapore molto particolare ed apprezzato di un ingrediente tanto inusuale quanto pregiato: la formica carpentiere arancione, che trova nelle cavità degli alberi intorno ad Aarhus e fornisce viva ai ristoratori. È stato anche per lui l’incontro con René Redzepi che ha permesso di trasformare un hobby che ha amato e coltivato per tutta la sua giovinezza in vera e propria attività dell'età adulta, dedicandosi non solo alla ricerca della formica jet ma ad ogni sorta di erbe selvatiche e piante commestibili.
 
Il percorso dalla fattoria alla tavola diffuso e portato avanti tanto brillantemente dai seguaci della Nuova Cucina Nordica non si è esaurito ed assistiamo a nuove dinamiche, di cui vediamo ancora una volta Redzepi tra i principali promotori e sostenitori. È già da molti anni che organizza eventi di networking, simposi per “unire una comunità culinaria globale con una coscienza sociale”, proponendo temi inerenti il cibo, come occasioni di più ampi approfondimenti su valori morali strettamente connessi. Ha fondato un’organizzazione senza scopo di lucro, ‘Mad’, che contempla conferenze, collaborazioni con enti universitari come Yale su programmi alimentari sostenibili, dedicandosi a divulgazione e a pubblicazioni specifiche sul genere e ha condotto due anni fa in collaborazione con l’ONU una campagna contro i danni ambientali della produzione alimentare. È in quell’anno, nel 2019, che un ingente supporto economico da parte del governo danese l’ha trasformata nella 'Mad Academy’ che, come ha affermato il suo direttore esecutivo, ambisce divenire un “Bauhaus del cibo”, luogo in cui convergono tutte le diverse fasi della produzione alimentare, cercando di soddisfare una filosofia del cibo onnicomprensiva.

Virginia Cucchi

Credits:

NOMA 
https://noma.dk/
Copenhagen, Denmark
Photo Current game and Forest menu: 15-17 © Ditte Isager/Courtesy of NOMA
15 Photo: Bear dumpling, 16 Photo: Yellow beet ‘sashimi’, 17 Photo: Whole grilled wild duck, duck brain, mushroom broth with wild sumac
Photos interiors: 19-22  © Ditte Isager/Courtesy of NOMA

Architects : BIG - Bjarke Ingels Group : https://big.dk/
Interior Design: Studio David Thulstrup : https://studiodavidthulstrup.com/
Collaborators: BIG Ideas, BIG Engineering, NT Consult, Studio David Thulstrup, Thing&Brandt Landskab
Photo: cover, 01-14, 18, 23-26 ©Rasmus Hjortshoj & BIG - Bjarke Ingels Group/ Courtesy of BIG
 

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