05-10-2021

NUOVA GRAMMATICA e SINTASSI dei MATERIALI

Architettura e Cultura,

È un momento di intenso fermento e tante si preannunciano le differenze che caratterizzeranno la casa del nostro futuro. Stiamo assistendo ad una vera e propria riformulazione della grammatica dei materiali che ci condurrà ad una sintassi della costruzione e della struttura edilizia molto più eco-sostenibile.



<strong>NUOVA GRAMMATICA e SINTASSI dei MATERIALI</strong><br />
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È un momento di intenso fermento e tante si preannunciano le differenze che caratterizzeranno la casa del nostro futuro. Stiamo assistendo ad una vera e propria riformulazione della grammatica dei materiali che ci condurrà ad una sintassi della costruzione e della struttura edilizia molto più eco-sostenibile. Per la realizzazione di un’economia circolare, che sia effettivamente rigenerativa e salutare, che contribuisca all’eliminazione dell’inquinamento e dei rifiuti, i materiali giocano un ruolo importante e dovranno essere in grado di soddisfare le aspettative di un’architettura concepita per affrontare sfide climatiche ed ambientalistiche di rilevante entità.
 
La frattura tra mondo naturale ed artificiale, causa della crisi attuale, pare destinata ad essere risanata da una nuova sinergia a cui molti stanno lavorando e dedicando passione ed energia. In architettura sono veramente numerosi gli sforzi che si stanno facendo per ricomporre le cose. Ritrovare un equilibrio tra un mondo abusato ed uno che, nella sua continua crescita, non può essere arrestato, sta ispirando sistemi tecnologici sempre più sofisticati che, prendendo spunto dal contesto naturale, stanno imitando processi secolari, nell’intento di conferire una vita diversa all’artificiale, aiutandolo a perseguire una maggiore sintonia con un ecosistema che si sviluppa armoniosamente bilanciato e strettamente interrelazionato.
 
Escursioni intelligenti in questo ambito perfettamente organizzato hanno permesso applicazioni che, in via di evoluzione, stanno trasformando i materiali destinati all’edilizia in elementi sempre più affini a componenti del regno vegetale, dotati per così dire di una sorta di linfa vitale, che li rende capaci di reagire e metabolizzare con successo situazioni atmosferiche di negatività. È da un network di competenze fortemente motivato, mutuato da branche specialistiche della scienza, un circolo virtuoso di rilevanza, alimentato dalla stretta collaborazione di studiosi, ricercatori, aziende ed università, che prende consistenza un grande laboratorio che con molta intraprendenza s’impegna ad alleviare l’impatto dannoso del costruire, esplorando ed elargendo le più stupefacenti ed avveniristiche soluzioni. Con un ritmo sempre più incalzante si stanno avvicendando molteplici proposte innovative mirate ad alleggerire l’impronta pesante che un intervento architettonico abitualmente rilascia, dai rivestimenti in grado di assorbire l’inquinamento o trattenere l’umidità dell’ambiente, facendola successivamente evaporare quando la temperatura si alza, rifacendosi virtualmente al fenomeno fisico della traspirazione della nostra pelle, ai prototipi di biocemento capace di autoriparare i danni e le crepe verificatisi nel corso del tempo o di ridurre il CO2 dell’aria.

 

BUGA Wood Pavilion. ICD/ITKE University of Stuttgart. Photo Courtesy of ICD/ITKE

La circolarità ci insegna che sono diverse le direzioni da intraprendere per non esaurire il patrimonio di risorse ancora a nostra disposizione e ci consiglia innanzitutto di non sperperare ma di utilizzare il necessario in maniera quanto più parsimoniosa possibile. Questo monito rappresenta una delle innumerevoli urgenze a cui si dedica  l’Università di Stoccarda con la corale compartecipazione delle discipline che sono abbracciate dai vari istituti appartenenti al gruppo. È stata a questo proposito concepita qualche anno fa un’interessante realizzazione che ha dimostrato di saper soddisfare questo principio cardine dell’economia concernente il costruito, coniugando materia prime rinnovabili, efficienza, innovazione digitale e ricerca scientifica. "Meno materiale" per ottenere "più forma” è l’incentivo che stimola il BUGA Wood Pavilion, un lavoro complesso e molto accurato, ideato per ospitare concerti ed eventi pubblici, la cui copertura in legno leggermente arcuata è frutto degli sforzi congiunti fra ricerca scientifica condotta dalla biomimesi, dall'Istituto per la progettazione e la costruzione computazionale (ICD) e da quello per la progettazione strutturale edilizia (ITKE).
 

BUGA Wood Pavilion. ICD/ITKE University of Stuttgart. Photo Courtesy of ICD/ITKE

La tettoia biomimetica, basata sui principi morfologici dello scheletro piatto e bucherellato del riccio di mare, vede ridotto al minimo ogni segmento di legno costituito da due lastre collegate da una cucitura industriale che, imitando i principi biologici delle connessioni fibrose e ad incastro osservate nell’animale, riesce a trasferire le forze tensili tra i componenti. Questo grande puzzle tridimensionale, una sorta di guscio molto leggero, è stato reso attuabile grazie ad un processo di prefabbricazione robotizzata di precisione sub-millimetrica.  BUGA Wood suggerisce un modo di costruire determinato da nuovi stilemi progettuali e produttivi, ispirato dal paradigma del Co-Design, una vera e propria esplorazione di alternative di disegno, ingegneria e fabbricazione attraverso un feedback computazionale continuo all'interno di un team interdisciplinare, assicurando il più efficiente possibile utilizzo di quelle fonti primarie che, gravemente depauperate, non si possono sprecare.
 

Nomadic Museum. Shigeru Ban. Flickr/Paolo Mazzoleni

Nulla si butta via, tutto si ricompone e crea nuovi spazi” è un altro mantra che sta inneggiando un’architettura disassemblabile, dove le parti costitutive materiali sono rimovibili e riusabili, progettata pensando alla durabilità degli edifici attraverso diverse potenziali vite, un’idea prevista soprattutto per le costruzioni ad utilizzo temporaneo ma anche applicabile a quelle che siamo abitualmente soliti considerare inamovibili. Merita a mio parere una menzione particolare l’iniziativa di un museo sostenibile itinerante che già dal 1999 il fotografo Canadese Gregory Colbert aveva immaginato, una struttura facilmente assemblabile, che potesse fornire una galleria transitoria ad un suo lavoro destinato ad un tour con approdi ed esposizioni in porti di scalo di tutto il mondo. Fu il Pritzker Prize Shigeru Ban, famoso per le sue creazioni estremamente rispettose ed in sintonia con la natura, ad essere incaricato della progettazione del Nomad Museum, che concepirà mobile e trasportabile, interamente costituito da container. Rimanendo i componenti di base identici, si potevano prevedere configurazioni semplici e più agevolmente adattabili alle varie aree d’approdo, anche se si presenteranno spesso situazioni difficoltose. Una sorta di trasformismo a cui ci stiamo sempre più abituando nella sua graduale progressiva maggiore camaleontica versatilità. L’approccio progettuale attuale sta gradatamente evitando di gettare fondamenta invasive, orientato con consapevolezza verso una componentistica ampliabile o smontabile, un’architettura che si proclama sempre più provvisoria e reversible.
 


Braunstein Taphouse. ADEPT. Photo Courtesy of ADEPT/Rasmus Hjortshøj Coast Studio.

A questo proposito s’impone il lavoro estremamente gradevole di un team di giovani architetti danesi con idee ed iniziative altrettanto fresche ed originali che, facendo uso molto razionale ed attento dei materiali, si dedica con risultati che lasciano piacevolmente colpiti per le molteplici possibilità di riconfigurazione. Braunstein Taphouse, recente progetto del gruppo Adept, trova la sua strategica collocazione tra l’acqua e la città, offrendo un esempio convincente di un indirizzo che, proiettato verso una vera e propria visionarietà, sta attirando sempre più proseliti. Ispirato all’identità marittima un po' cruda dei vecchi magazzini del porto, l’edificio a due piani, compendia due funzioni, quella di centro visitatori per il vicino mini-birrificio, con una capienza di più di 15.000 visitatori e di luogo d’incontro locale a sostegno di iniziative ed attività della comunità. Parla un linguaggio assolutamente contemporaneo che sa trovare con il contesto una virtuale continuità. Caratteristiche evocative della forma e dei materiali prescelti ne enfatizzano l’appartenenza. Appoggiato su un molo in legno, a pochi metri dal mare, è da un'opzione assolutamente realistica che prende corpo la sua esistenza, ideato per lo smontaggio rapido e totale, in previsione di un possibile reclamo negli anni a venire del terreno occupato da parte dell’amministrazione comunale per migliorie climatiche da implementare. Costruito con attento rispetto ambientale, ha incluso nella sua programmazione, improntata ad un’economia di massima riduzione, pochi e sostenibili materiali, per quanto possibile, non mescolati, con un volume di rifiuti notevolmente minore rispetto a simili costruzioni. Montato con soli giunti meccanici o con sistema ad incastro non presenterà nessun problema ad essere smontato e ri-completato in un luogo diverso.
 

Headquarters of Triodos Bank. RAU Architecten.Photo courtesy of RAUArchitecten/ Ossip van Duivenbode & Bert Rietberg.

C’è un’altra realizzazione che rappresenta una delle ultime tendenze di un’architettura reversibile, che contempla una nuova prospettiva, l’avvio verso un futuro storaggio digitale dei materiali. In un’area boschiva dei Paesi Bassi si snoda con ampie volute la sede della Triodos Bank, una delle ultime creazioni di RAU Architecten, Il complesso si dipana con sinuoso meandrico andamento, sembrando metaforicamente alludere a quell’economia circolare di cui è esemplarmente essenza. Tre cilindri di diverse altezze con facciate vetrate curvilinee costituiscono, grazie alla struttura formata da componenti di legno lamellare e grezzo che possono essere svitati, "il primo edificio per uffici, al 100% in legno, rimontabile su larga scala. Rappresenta, a detta del suo autore, una delle prime realizzazioni concepita come una banca di materiali, essendo stata ogni minima parte dettagliatamente annotata e registrata.

Questo comportamento eticamente responsabile si è ripetutamente notato con crescente ricorrenza nelle seconde vite di costruzioni destinate ad Expo o a grandi eventi sportivi.  Il Padiglione Italia per l’Expo Dubai 2021 nasce come lavoro di squadra, all’insegna di questa filosofia, prevedendo una circolarità di vita, che lo accompagnerà attraverso tappe diverse ad assolvere con versatilità funzionale le missioni ed i servizi più disparati, non lasciando tracce sul terreno su cui si è posato con particolare lievità. Tutte le varie parti costitutive, parecchie già ad un loro secondo utilizzo, una volta terminato l’evento che ha giustificato questo tipo di assemblaggio, verranno smontate, stoccate e riutilizzate in un altro sito ed in una diversa circostanza, non permettendo che nulla sia destinato alla discarica. È perseguendo un tipo di architettura che potesse essere riconfigurata che il padiglione ha preso appunto consistenza.Carlo Ratti, co-autore del progetto, da sempre impegnato con strategie avanguardistiche nella sfida di una rigenerazione in chiave sostenibile della situazione inadeguata in cui ci siamo venuti a trovare, ribadisce che lo sviluppo auspicabile da perseguire deve tenere a mente il principio della conservazione di un’eventuale eredità a beneficio delle generazioni a venire, avendo come obiettivo ormai ineludibile un’economia senza scarti. Il Padiglione si presenta come un laboratorio che, connettendo le persone ed i saperi, sperimenta nell’intento di trovare soluzioni più adeguate e meno invasive, che aiutino a rielaborare il modo di costruire, trovandone uno più organico. 

Mi auguro che l’architettura di domani possa crescere come un albero”, un’architettura insomma che nasca dalla terra e torni alla terra è l’ambiziosa aspirazione che Ratti sogna e che ha espresso due anni fa in modo emblematico e seducente durante il Fuorisalone di Milano, realizzando nell’Orto Botanico di Brera una struttura vegetale vivente di gigantesche dimensioni. Archi monolitici di circa quattro metri d’altezza che si alternavano, evocando gli archi di pura compressione di Antoni Gaudí, facevano mostra di un’architettura molto allegorica, nata dalla radice di un fungo, il micelio, e destinata dopo qualche settimana a decomporsi nel modo più naturale. Ed il co-progettista, Italo Rota, aggiunge al concetto “per fare le cose in modo diverso dobbiamo solo usare un futuro che già esiste, esplorandolo con creatività… lavorando con altre forme di vita ed anche con le piante, cercando di capire quali relazioni intratteniamo con loro”. Nascono così le neo-materie presentate in questa grande installazione sperimentale nella sua declinazione plastic-free e bioclimatica, nuovi materiali nati a somiglianza e a completamento di un universo più ampio di cui siamo parte. Vernici che reagiscono quasi da reattivi organici, alghe in grado di assorbire l’anidride carbonica trasformandola in ossigeno e successivamente utilizzate come sistema fertilizzante per il verde coltivato all’esposizione, pareti e soffitti costruiti con fondi di caffè e bucce d’arancia.  Procedimenti gestiti dalla tecnologia che riproduce i fenomeni osservati in natura, studiati ed analizzati, prototipizzandoli.

'Circular Garden', Fuorisalone in Milan. Carlo Ratti. Photo Courtesy of Carlo Ratti Associati/ Marco Beck Peccoz.

Il passato è stato in molte occasioni una fonte di sapere che ci ha regalato lezioni preziose. Il rapporto che esisteva tra l’uomo e la natura, quando non era alterato da mezzi meccanizzati troppo sofisticati, usati alla stregua di intermediari, privilegiava competenze fatte di rispetto e di reciproca, vantaggiosa utilità. Competenze che una donna sarda ha deciso di ascoltare e mettere in pratica, trasformando una passione in una vera e propria professione. Focalizzando la sua attenzione sulle eccedenze agricole, boschive e della pastorizia di cui la sua regione è straordinariamente ricca capirà l’importanza di creare una comunità d’intenti con linee guida comuni e darà avvio ad una vera e propria sinergia tra esperienze e conoscenze diverse. È all'incirca verso i 50 anni che Daniela Ducato deciderà di condividere attraverso una piattaforma comune i risultati di molteplici ricerche ed il know-how di ognuno, arrivando a realizzare prodotti assolutamente naturali per l’edilizia, vere e proprie eccellenze, attraverso le materie prime locali eccedenti nelle lavorazioni delle varie aziende. Questo scambio incrociato di abilità la renderà coordinatrice di ‘La casa verde CO2.0, il polo produttivo per la bioedilizia più grande d’Italia, una rete intelligente nata da un’intuizione apparentemente banale, alimentata dall’amore per l’ambiente, il desiderio di creare una catena di aiuto e solidarietà vicendevoli, sanando come conseguenza, forse non programmata, l’economia particolarmente depressa della zona. Quello che rappresenta scarto per alcuni, diventa risorsa per altri, ed attualmente. Daniela coordina 72 aziende, in Sardegna ed in altre regioni italiane, con la soddisfazione di tutelare la biodiversità animale, vegetale e soprattutto, come lei stessa afferma, quella dell’intelligenza umana.
 
Sono oltre cento gli ingredienti vegetali ed animali utilizzati, sottratti allo spreco e finalizzati al bioedile, con il rigoroso veto duso di qualsiasi componente che non rappresenti quello che verrebbe buttato via. Sottoprodotti della lana, destinati a diventare rifiuti perché non adatti alla filatura diventano geotessili o isolanti termici per tetti e pareti, grazie a 'Filiera Edizero – Architecture For Peace', che realizza a chilometro zero prodotti rinnovabili, oil-free, tracciabili e certificati. E dell’ampia gamma fanno parte le pitture le prime al mondo con zero acqua, con risparmio di volumi e di imballaggi del 90% e naturalmente assolutamente naturali, con una variegata palette cromatica, dovuta alla vinaccia del Nero d'Avola siciliano o del Cannonau o alle bucce di pomodoro e alle parti non edibili dei carciofi. Tra il surplus da buttare c'è anche quanto resta della canapa e del sughero sardo, che contribuiscono a quella risorsa della circolarità che non solo ampiamente ripaga un costo ambientale ed economico ma cheracconta lItalia, ne descrive i colori, l'agricoltura, riutilizzando i vocaboli della cultura contadina nel linguaggio dellarchitettura”. Anche per quanto riguarda l’innovazione della vernice concentrata” senzacqua, che permette di risparmiare imballaggio, costi ed emissioni in atmosfera, viaggiando in camion più leggeri, l’ispirazione è derivata dal modo in cui il pastore nomade e transumante era costretto a muoversi nei suoi spostamenti, portandosi appresso oggetti utili e leggeri, indispensabili e resistenti.Questa capitana di una piccola squadra nata in una zona considerata la più povera d’Italia è riuscita a divenire una delle più autorevoli voci dell’economia circolare, insignita tra i moltissimi riconoscimenti nazionali ed internazionali della carica di Cavaliere della Repubblica, premiata come miglior innovatrice d’Europa nell’edilizia verde e citata da Fortune tra le donne in grado di cambiare il mondo, come imprenditrice più innovativa d’Italia, mentre I suoi prodotti sono stati annoverati da New York Times tra le 10 innovazioni che possono salvare il Pianeta.

Virginia Cucchi

Crediti:
Cover, 05-15 Photo: ADEPT. Braunstein Taphouse. ADEPT. Photo Courtesy of ADEPT/Rasmus Hjortshøj Coast Studio. 
https://www.adept.dk/
01-04 Photo: BUGA Wooden Pavilion. ICD/ITKE University of Stuttgart. Photo Courtesy of ICD/ITKE. 
https://www.icd.uni-stuttgart.de/projects/buga-wood-pavilion-2019/
12-16 Photo: Headquarters of Triodos Bank. RAU Architecten.Photo courtesy of RAUArchitecten/ Ossip van Duivenbode & Bert Rietberg.
https://www.rau.eu/
17,18, 20 Photo: Nomadic Museum. Shigeru Ban. Flickr/Paolo Mazzoleni. Photo 19: Flickr/NaoyaFuji
http://www.shigerubanarchitects.com/
21-25 Photo: Circular Garden', Fuorisalone in Milan. Carlo Ratti Associati. Photo Courtesy of Carlo Ratti Associati/ Marco Beck Peccoz.
https://carloratti.com/

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