22-02-2022
HOMELESSNESS
homelessness,

La realizzazione, ScrapHouse, saprà stupire per la capacità ingegnosa delle soluzioni: pareti rivestite con frammenti di lamiera e segnali stradali, pavimenti costituiti da porte in massello di scarto o ricoperti con ritagli di pelle ed avanzi di lavori di tappezzeria. Tutto quanto viene recuperato in discariche e depositi di rottami o messo a disposizione da enti pubblici trova una sua attraente collocazione. Il risultato finale è particolarmente brillante, lo stravagante collage di pezzi destinati a rimanere inutilizzati ha una forza catalizzante dal punto di vista estetico, riuscendo ad evidenziare possibilità, e a lanciare sfide che abbracciano l’ambito della bioedilizia e del riciclo ma riesce anche a riservare valori che trascendono quello della sostenibilità ambientale, come l’importanza di un’azione collettiva che, animata da intenti comuni, arriva a questa attestazione così significativa.
Cary è soddisfatto dell’impresa che, se pur di modeste dimensioni, appare abbastanza provocatoria ma, come confesserà in un articolo che scriverà successivamente, un senso di amarezza, per non dire di imbarazzo lo accompagnerà per parecchio tempo, non avendo questa casa mai potuto essere utilizzata, offrendo un riparo in una città dove ogni notte, come lui stesso afferma, centinaia o migliaia di senzatetto dormono per strada o nei rifugi. Il problema che amareggia Cary è una piaga annosa che tormenta soprattutto i centri delle città più ricche e più densamente popolate ed in questo lasso di 15 anni, che è intercorso dalle sue considerazioni, la questione di una casa per tutti si è decisamente aggravata, dimostrando profondamente minacciato quello che è stato comunemente a lungo considerato un diritto nella maggior parte dei paesi. C'è stata poi questa terribile epidemia che ha colpito tutti, che ha messo a dura prova situazioni economiche, rendendo drammatiche quelle più fragili. Le profonde iniquità all'interno della nostra società si sono evidenziate in modo esponenziale, richiedendo con sempre più urgenza la necessità di abbandonare l’astrazione delle parole per dedicarsi maggiormente alla concretezza dei fatti. A fronte di tanta sofferenza è tempo che la demagogia lasci spazio ad effettivi tentativi che rispondano fisicamente e dignitosamente a queste esigenze pressanti.
Sean Godsell, all’inizio di una professione che ha sempre ritenuto di alto coinvolgimento sociale, propone nel 1985 ‘Future Shack’, un prototipo che, sfruttando i vantaggi della natura universale del container, suggerisce un’eventuale produzione in serie di case di emergenza agevolmente rilocabili, in grado di soddisfare una vasta varietà di bisogni primari: dai post-disastri naturali agli alloggi temporanei.Melbourne, considerata una della città più vivibili del mondo, sembra in quel periodo essere "diventata un epicentro di senzatetto” e Godsell, assistendo a questo graduale peggioramento, si sente motivato a dare avvio ad un programma di aiuto che intende adattare gli elementi statici dell’arredo pubblico a parte dinamica del tessuto urbano. Quella panchina che durante il giorno offre una seduta nel parco si conforma alla duplice funzione di casa durante la notte, con l’aggiunta di un tetto sollevabile resistente alle intemperie, equipaggiata di un kit di sopravvivenza, così come la pensilina dell'autobus ‘Bus Shelter House’, quando il trasporto pubblico si ferma. Questi tre prototipi autofinanziati riscuotono commenti molto elogiativi da parte della critica e 'Future Shack’, ricevuta una menzione speciale dal Presidente dell'American Institute of Architects, vede il suo modello esposto al Cooper Hewitt Design Museum dello Smithsonian Institute a New York.
Da un punto però di vista realizzativo, che rappresentava la vera aspirazione a cui ambiva il giovane architetto, questi modi semplici ed economici, che non avevano la pretesa di divenire definitivi, non piacciono alle autorità preposte alla pianificazione, forse causando un motivo di forte imbarazzo per non avere trovato un modo più decoroso di affrontare e risolvere tante dolorose emergenze umane. L’architetto, dotato di un temperamento molto tenace, di forte ironia e tanta anticonvenzionalità, particolarmente frustrato dall’immobilismo governativo, si spinge ad un atto tanto originale quanto provocatorio, presentando la sua ‘Park Bench House’ alla selezione del premio Best House dell'Australian Institute of Architects. Un gesto dettato dalla volontà di nobilitare un modesto elaborato che non ha incontrato la meritata considerazione e non ha provocato le dovute responsabilità sociali. Non sono mancate reazioni di chi si è indignato e, tentando di screditare il vero significato dell’iniziativa, l'ha dichiarata un clamoroso tentativo autoreferenziale in cerca di pubblicità ma, a parte queste illazioni fuori luogo, l'umile panchina del parco saprà far germogliare una nutrita offerta di proposte altrettanto creative e filantropiche da parte dei designer. Non possiamo comunque aspettarci che gli architetti risolvano la mancanza di un tetto per tutti, “abbiamo bisogno”, come giustamente concluderà Godsell al termine di questo lungo, faticoso percorso, emblematico delle avversità ed ostilità da cui è costellato, “di un cambiamento di paradigma, un cambiamento sociale, non architettonico”.
Le panchine cinetiche di Godsell, trasformabili in giacigli per la notte con un poco di luce ed un minimo di conforto, proposte che per molte ragioni sono state considerate dalle autorità inappropriate, sono rimaste nel tempo inalterate se non peggiorate. Una serie di accorgimenti, parte di quell’architettura pubblica definita 'ostile', o 'difensiva', escogitati come deterrenti per scoraggiare comportamenti vandalici hanno provocato un disagio ancora maggiore alla miserabile esistenza di chi cerca rifugio in un parco o lungo la strada. Senza intenzione di proporsi come alternative al pernottamento nei centri di accoglienza o nei ricoveri notturni ma bensì pensati come ripari termici temporanei, per prevenire morti per ipotermia nelle notti invernali più rigide, nascono dalla dedizione di ideatori diversi due progetti: 'Iglou' e 'Ulmer Nest'. Entrambe i prototipi, un igloo pop-up, pieghevole e leggero, realizzato in schiuma di polietilene, e fogli di alluminio in doppio strato, facile da trasportare e montare, ed 'un bacello per dormire', in legno e metallo verniciato, chiuso ed isolato, alimentato dall’energia solare, auspicano che una rete di questi nidi antigelo, calde dimore individuali, possano propagarsi, disseminate nei parchi ed in altri luoghi di bisogno della città.
Virginia Cucchi
Credits:
ScrapHouse, John Cary
Park Bench House & Future Shack, Sean Godsell, Photo Earl Carter
Igloo, Geoffroy De Reynal
Shelter with Dignity, SwD, Andreas Tjeldflaat di Framlab
Cover, “Who’s next. Homelessness, Architecture and the City”, Exhibition at Technical University of Munich / FN Archive
01, Photo by Rockinrita/FlickrCC
02, Photo by KSPhoto/FlickrCC