24-03-2022

Siamo in rete o in trappola? Al Centre Pompidou i creativi rispondono

Parigi,

Mostre,

Con la mostra ‘Réseaux-Mondes’ il centro artistico e culturale nel cuore di Parigi apre un confronto multidisciplinare sul tema che più identifica la nostra epoca, le reti. Sessanta tra artisti, designer e architetti le esplorano e le interpretano.



Siamo in rete o in trappola? Al Centre Pompidou i creativi rispondono

Quante volte ce lo siamo chiesti, quando ci siamo sentiti sorvegliati, indirizzati, vincolati ai network che a più livelli si sovrappongono nelle nostre vite – i social, i siti, i tracciamenti: siamo in rete o in trappola? In una Parigi che finalmente si riconosce nei suoi luoghi di aggregazione, dai bistrot alle piazze, dai giardini ai musei, ho cercato (e forse trovato) al Centre Pompidou una risposta a questo interrogativo, visitando la mostra ‘Réseaux-Mondes’. Allestita alla Galerie 4 fino al 25 aprile, curata da Marie-Ange Brayer e Olivier Zeitoun, è il quinto appuntamento di ‘Mutations/Créations’, programma di indagine sulla contemporaneità avviato nel 2017. Propone uno sguardo ad ampio spettro sul fenomeno delle reti - informatiche ma non solo - grazie ai contributi di sessanta tra designer, artisti e architetti.

L’obiettivo della mostra è vasto e complesso: capire perché le reti sono così decisive, come condizionano la nostra esistenza, quali esiti hanno sull’espressone del nostro tempo. Come sempre, quando si tratta di creatività, è bene ragionare e informarsi, ma anche lasciare campo ai sensori dell’inconscio e dell’emozione, a cui le opere in mostra primariamente si rivolgono. Con questa predisposizione inizio il percorso di ‘Réseaux-Mondes’, che i curatori hanno suddiviso in quattro aree tematiche. La prima, sulla Rete Globale, introduce le prime tracce di consapevolezza dell’esistenza delle reti, quando apparvero a studiosi e artisti pionieri a partire dagli anni Cinquanta. Il concetto di ‘villaggio globale’, introdotto da Marshall McLuhan nel 1964, venne tradotto in un progetto utopico da Constant, uno dei fondatori del gruppo CoBrA, impegnato a sviluppare dal 1956 e per i 18 anni seguenti un progetto di villaggio globale evolutivo e interconnesso, chiamato New Babylon. In mostra è esposta la maquette di uno dei luoghi di interscambio di questa grande rete immaginata da Constant: il centro Spatiovore, una stazione con le parvenze di un guscio di conchiglia destinata ad accogliere l’umanità migrante nel corso di pellegrinaggi continui attraverso il globo.

La fulminante e geniale utopia di Constant si tramuta in inquietudine nella seconda sezione, dedicata alla Critica delle Reti, che indaga le derive di sorveglianza e controllo emerse nell’ultimo decennio. Colpisce la mia attenzione il video Human Synth di Mika Tajima, che riproduce delle volute azzurre di fumo su uno sfondo nero. Niente di poetico: l’opera rappresenta le emozioni espresse dagli utenti della piattaforma Twitter à Paris che un algoritmo trasforma in volute di fumo più o meno intense, più o meno rapide, a seconda del loro manifestarsi in tempo reale. È possibile, quindi, dimostra Tajima, leggere e predire i comportamenti collettivi (e in qualche modo indirizzarli). La scelta di trasformarli in fumo assume accenti mistici e arcaici, che richiamano l’incenso degli altari o i segnali utilizzati dai popoli primitivi per comunicare.

Entro, quindi, nella terza area dedicata al tema Nodi e Reticoli, con opere più funzionali e concrete che, nel loro pragmatismo, sembrano smorzare le prospettive inquietanti della sezione precedente. Le reti hanno una loro utilità e una bellezza intrinseca, sembrano affermare gli autori dei lavori esposti di questa sezione, come la divertente Node Chair del designer britannico Daniel Widrig, sedia stampata in 3D e rivestita bronzo, la cui struttura è composta da un gigantesco filo intrecciato a catenella, come il punto all’uncinetto. O come la grande tavola Alga-Vannerie, in cui il designer francese Samuel Tomatis dà prova delle sue ricerche sulla trasformazione di alghe nocive e invasive in una materia prima durevole destinata alla produzione. E la presenta applicata a tecniche tradizionali di intreccio tipiche degli artigiani di Guadalupa.

Passo, infine, nell’ultima e più intrigante sezione, che si focalizza sulla Rete dei Viventi: al centro dello spazio, si dispiega Flylight, un’installazione che incanta e sorprende. Grazie a un sensore elettronico e a un algoritmo, centinaia di capsule in vetro sospese nella sala si illuminano riproducendo il comportamento di uno stormo di uccelli, esempio naturale di intelligenza collettiva e auto-organizzata in una rete. Attraverso un’esperienza immersiva gli olandesi DRIFT invitano i visitatori a sperimentare come la rete può essere utile e protettiva, se finalizzata alla salvaguardia della comunità che la crea e la utilizza.

Antonella Galli

Captions

1-3, 6, 11, 14-16: Courtesy Centre Pompidou, Photo Bertrands Prévost

4: Constant, Spatiovore, Photo Courtesy J.C. Planchet, Centre Pompidou – Mnam-Cci / Dist. Rmn-Gp e Fondation Constant

5: Mika Tajima: Psycho Graphics, Kayne Griffin Corcoran, Los Angeles. Courtesy of the artist, Kayne Griffin Corcoran (Los Angeles), Taro Nasu (Tokyo)

7: DRIFT (Lonneke Gordijn & Ralph Nauta), Flylight, Courtesy Carpenters Workshop Gallery e Studio DRIFT. Photo Gert-Jan van Rooij, Stedelijk Museum Amsterdam

8: Richard Vijgen, WifiTapestry 2.0, Courtesy of the artist

9: EcologicStudio (Claudia Pasquero & Marco Poletto), GAN-Physarum, Courtesy Rc16, Urban Morphogenesis Lab, BPro UD, The Bartlett UCL, 2018

10: Studio Formafantasma, Cambio, Courtesy of the artist

12: Jenna Sutela, Nimiia cétiï, Courtesy of the artist

13: Nicolas Schöffer, Sans titre, Courtesy Collection FRAC Centre-Val de Loire


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