05-04-2023

Sally Gabori, ritorno alla terra

Design,

Sally Gabori, Antonella Galli,

L’artista aborigena australiana è protagonista di una mostra in Triennale, inserita in un percorso che l’istituzione milanese sta compiendo a fianco della Fondation Cartier pour l’art contemporain per dare visibilità e voce alle culture indigene del mondo. Dalle quali non possiamo che imparare il rispetto della natura, l’ascolto della terra, la tenace tutela della propria identità.



Sally Gabori, ritorno alla terra

Il nome completo della pittrice australiana Sally Gabori (c.1924-2015) è Mirdidingkingathi Juwarnda Sally Gabori: il primo nome indica il luogo in cui è nata (a Mirdidingki, località di Bentinck, piccola isola nel golfo di Carpentaria, costa settentrionale dell’Australia); il secondo significa ‘delfino nero’ nella lingua Kaiadilt, la popolazione originaria australiana a cui Sally appartiene. Il delfino è il suo animale totemico, assegnatole al momento della nascita, come accade per ogni Kaiadilt. Il legame con la sua isola e quello con la natura sono la miccia che ha acceso in Sally il desiderio di dipingere: l’artista, infatti, come tutto il suo popolo, che aveva resistito a qualsiasi contatto con i colonizzatori fino al 1948, fu costretta ad abbandonare l’isola di Bentinck dopo un catastrofico evento climatico (un maremoto e un ciclone che resero l’acqua dell’isola imbevibile). Trasferita sulla vicina isola Mornington, in una missione presbiteriana, Sally non riuscì per decenni a ritornare a Bentinck. Il dolore del distacco, la nostalgia e la memoria trovarono sublimazione nella pittura quando a ottant’anni, per la prima volta, visitò una mostra e volle provare a dipingere. La sua stagione creativa è durata 9 anni, dal 2005 alla scomparsa nel 2015, periodo in cui produsse circa 2000 opere, prima su tele di piccolo formato, quindi su supporti molto grandi, fino a sei metri di lunghezza. La Triennale di Milano ospita, fino al 14 maggio, l’esposizione di 29 monumentali dipinti di Sally Gabori, oltre a tre opere collettive, realizzate con altre artiste Kaiadilt e con le sue figlie. L’iniziativa parte dalla Fondation Cartier pour l’art contemporain, che per prima ha portato in Europa l’artista e che promuove la conoscenza dell’arte indigena.

“Sally è una meravigliosa artista ed è la ragione per cui sono sempre stato attirato dal suo lavoro”, racconta Bruce Johnson McLean, camminando nei vasti e luminosi spazi in cui sono esposte le tele di Gabori. Mc Lean, curatore della mostra, oltre che Head Curator First Nations Art presso la National Gallery of Australia, fu uno dei primi a scoprire il fenomeno della pittrice aborigena ottantenne: “Nel 2005, quando Sally iniziò a dipingere, fui chiamato da un gallerista che aveva condotto dei workshop artistici sull’isola di Mornington insieme alle popolazioni originarie come i Kaiadilt. Mi disse che dovevo recarmi là al più presto, c’era qualcosa di straordinario da vedere. Quando entrai nella stanza, vidi centinaia di dipinti e ascoltai centinaia di storie. Fui completamente travolto. Erano opere uniche, potenti, colorate, straordinarie. Mi ci volle qualche giorno per assorbirne l’impatto.” L’arte di Sally sembra astratta. In realtà, l’artista ha sempre fatto riferimento a luoghi precisi della sua isola, indicati nel titolo dei grandi quadri. Pensando a quei luoghi, alle luci e alle sensazioni che suscitavano in lei, Sally li ha trasformati in macchie di colore vibranti, pennellate sovrapposte, sicure e nette, trasferendo in esse tutta la forza dei sentimenti e della memoria. “Il popolo dei Kaiadilt non aveva tradizione pittorica”, spiega il curatore Mc Lean, “quando Sally iniziò a dipingere, non c’erano precedenti nella sua cultura. Nessuna tradizione, nessuno studio etnografico. Era senza vincoli. Ha dipinto quello che sentiva e che voleva dipingere. È pura espressione. Quando si guardano le sue opere, si coglie realmente il senso di grande energia che esprimono.”

La mostra si inserisce nel percorso del parternariato avviato da Triennale con la Fondation Cartier pour l’art contemporain, che da alcuni anni promuove iniziative per divulgare le culture originarie di territori come l’Amazzonia o l’Australia: “Abbiamo l’obbligo di avere cura e rendere visibili artisti di differenti culture”, ha affermato Hervé Chandès, direttore generale artistico della Fondation, “questi popoli fanno arte per condividere la bellezza del loro mondo, proteggere la loro terra e salvare la loro visione”. Un obiettivo condiviso anche da Stefano Boeri, presidente di Triennale Milano, che a proposito di Sally Gabori ha affermato che “la vicenda drammatica e straordinaria di una donna, che ha subito come migrante climatica una condizione obbligata di esilio, ha trovato nell’arte una modalità potentissima di espressione. Non è solo la denuncia di una situazione drammatica, ma anche un fortissimo messaggio che riguarda il rapporto tra cultura e natura. Oggi guardiamo alle culture indigene di molte parti del pianeta per capire come ripensare il rapporto con la natura. Siamo abituati a pensare la natura come qualcosa che sta fuori di noi, fuori dalle case, dalle città, mentre oggi voci come quelle di Gabori ci mostrano come questa prospettiva vada ripensata”.

Antonella Galli

Didascalie

Mirdidingkingathi Juwarnda
Sally Gabori
Presso Triennale, Milano Fino al 14 maggio 2023
https://www.sallygabori-fondationcartier.com/it/

Mostra ideata e curata da Fondation Cartier pour l’art contemporain
Tutte le foto: Courtesy Triennale Milano e Fondation Cartier

01 Nyinyilki, 2010. Pittura polimerica sintetica su lino, 196 × 303 cm. Collezione Bérengère Primat, per gentile concessione della Fondation Opale, Lens, Svizzera. Foto Vincent Girier Dufournier

02, 04, 06, 08, 09, 11: allestimento della mostra nel palazzo della Triennale di Milano, photo Andrea Rossetti

03 Dibirdibi Country, 2010. Pittura polimerica sintetica su lino, 200 × 305 cm. Collezione Bérengère Primat, per gentile concessione della Fondation Opale, Lens, Svizzera. Foto Simon Strong

05 Dibirdibi Country, 2011. Pittura polimerica sintetica su lino, 198 x 455 cm. Alcaston Gallery, Melbourne, Australia. Foto Simon Strong

07 Nyinyilki, 2010. Pittura polimerica sintetica su lino, 196 × 300 cm. Collezione privata, Melbourne, Australia. Foto Simon Strong

10 Nyinyilki, 2011. Pittura polimerica sintetica su lino, 196 x 301 cm. Bendigo Art Gallery, Bendigo, Australia, acquisizione del 2016. Foto Simon Strong


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