19-04-2016

Gated Communities, isole urbane cintate.

Milano,

Il problema della sicurezza della propria abitazione e le tensioni sociali, due dei tanti temi che hanno dato il via ad un aumento delle “gated communities”, ovvero le comunità blindate.



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Gated Communities, isole urbane cintate. Il problema della sicurezza della propria abitazione e le tensioni sociali, due dei tanti temi che hanno dato il via ad un aumento delle “gated communities”, ovvero le comunità blindate. Nuove realtà prima diffuse nelle Americhe e ora anche in Europa. In realtà si tratta di patologia urbana o voglia di esclusività? 



Un tema attuale nel dibattito urbanistico e architettonico è la diffusione delle “gated communities”. Un modello di insediamento cintato ed esclusivo all'interno o alle porte delle grandi città, ora anche europee, dove gli abitanti trovano, oltre ad appartamenti di alta gamma, anche la protezione dal contesto, il tutto grazie a segregazione fisica e video-sorveglianza. 
In Italia se ne occupa da tempo l'architetto Fabrizio Aimar a cui chiediamo di aiutarci a comprendere meglio questa tematica, in particolare nella sua declinazione italiana.





- Cosa differenzia la “gated community” dalle “strade private”? Sono molte nelle città italiane? Cambia l’utilizzo dello spazio e della sua percezione da parte della comunità locale. Se un’area privata può diventare oggetto di una servitù pubblica di passaggio, questo non accade nelle Gated Communities, in cui l’intero perimetro è recintato e ogni accesso interdetto ai comuni cittadini. Diventano, di fatto, delle vere e proprie isole urbane, che si basano su di uno stile di vita composto da timore o da speranza, il cui prodotto è l’indubbia segregazione sociale e la perdita di fruizione dello spazio pubblico. Quest’ultimo, infatti, si trasforma per somigliare, in modo sottile, ad un ambiente commerciale controllato, figlio di un’urbanizzazione indotta e plagiata dal mercato. Il risultato? Parodie feudali, basate su concetti effimeri di “armonia” e del “bello”, contraltare al caotico intorno fatto di criminalità e “kaos”. Ma che, al lato pratico, sopravvivono proprio grazie ai servizi esterni svolti da quegli addetti e lavoratori stranieri da cui rifuggono. In Italia, uno dei casi più significativi è dato da Borgo di Vione, in provincia di Milano, in cui, citando il sito web dedicato, “Il sevizio di custodia è attivo 24 ore […] impedisce l’ingresso al borgo a coloro che non siano residenti”. 






- “Gated Community” sembra un ossimoro, in quanto accosta la segregazione volontaria di pochi dalla comunità, o è un segnale delle paure dei nostri tempi? Si, purtroppo è come dici. Sono esempi lampanti della paura del diverso, oasi dorate create per sfocare i problemi di una comunità da cui si intende volontariamente rifuggire. “Misantropia urbana” a tutti gli effetti. Le persone che creano queste realtà asettiche, in cui tutto è preordinato, plasmano delle vere e proprie isole urbane, indipendenti dal contesto circostante. Tali “comunità” posseggono propri servizi esclusivi, dei quali si ha diritto ad usufruire unicamente se facenti parte del complesso. Questi privilegi vengono difesi da un corpo di vigilanza privato, atto a sorvegliare i confini cintati e videosorvegliati dalla minaccia esterna che può turbare quella tranquillità. Ma è una serenità illusoria e artificiale, ma che aiuta a riflettere su di una cosa, grave quanto allarmante: la società contemporanea non è realmente inclusiva. E si scopre, oggi, anche falsamente tollerante, come già ammoniva Pasolini 41 anni fa. Ne emerge un quadro fosco, in cui è in gioco il futuro del tessuto delle nostre città.





- Ricerche in diversi punti del mondo evidenziano più modelli di “gated communities” a seconda del contesto sociale, economico e urbano. Fra cui ricordiamo dal compound petrolifero nel Medio Oriente alle nuove forme di complessi residenziali privati. Come mai stanno arrivando anche in Europa, mentre eravamo abituati a vederle solo nelle Americhe (link Triptyque) o in Asia? Qual è la tipologia più diffusa in Italia? Le Gated Communities si sviluppano e crescono in Paesi in cui sussistano forti disparità sociali e dove, al contempo, lo Stato centrale è debole in termini di governance del territorio. Così, i privati si organizzano dando risposte di tipo “difensivo”, repliche al rischio criminale e terroristico. Dunque, si assiste ad una militarizzazione dello spazio, anche pubblico, che di fatto ne viene eroso sia fisicamente ma anche nella percezione mentale. Questo genera preoccupazione, perché arriva ad influire sulla superficie pubblica, campo del sociale e delle sue libertà, attraverso meccanismi di esclusione. In Italia, tale forme stanno prendendo piede, da un lato, dalla volontà di disimpegno verso i problemi sociali contemporanei (migranti, crisi economica, terrorismo), mentre, dall’altro canto, dalla nostalgica ricerca di quella “età dell’oro” distrutta dalla società dei consumi. Tuttavia, sono soluzioni che non fanno che ampliare questa frattura sociale, in quanto simbolo di una upper class che si contrappone allo scenario di vita degli scartati della società, quelli che il filosofo Bauman definisce come “walking distopias”. 

Christiane Bürklein

Fabrizio Aimar (link)
Immagini: Diego Perez

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