11-01-2017

Co-Living, meglio con estranei che in famiglia

Amsterdam,

One shared House il documentario autofinanziato e interattivo di Irene Pereyra e Anton Repponen dello studio di design newyorkese Anton & Irene parla del co-living, un trend in ascesa non solo a New York.



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Co-Living, meglio con estranei che in famiglia One shared House il documentario autofinanziato e interattivo di Irene Pereyra e Anton Repponen dello studio di design newyorkese Anton & Irene parla del co-living, un trend in ascesa non solo a New York. Allora con chi abitiamo meglio?


Continuiamo la nostra chiacchierata con Irene Pereyra, co-autrice del film, cresciuta negli anni '80 in un co-living ad Amsterdam. Le abbiamo chiesto di raccontarci le sue esperienze e se il mercato immobiliare sta rispondendo a queste nuove forme dell'abitare. Il film One Shared House è accessibile sul web e permette di testare la propria propensione al co-living. I risultati escono in tempo reale in forma di infografica. 
Ecco la seconda parte dell'intervista.


Q: Pare che le persone siano disposte a condividere quasi tutto, ma con qualche problema per quanto riguarda il bagno, un punto critico anche per la convivenza in una famiglia tradizionale.
A: È divertente perché per quanto mi ricordi non era il bagno il luogo più contestato, ma la cucina. Le cucine si sporcano facilmente e ognuno ha un'idea diversa di pulizia. Mentre questo aspetto è stato un grande problema per il co-living della mia infanzia, nel sondaggio post-documentario molti dicono di condividere più volentieri la cucina che il bagno. Magari non sono cresciuti in una famiglia grande dove il bagno era terreno di guerra o semplicemente non cucinano molto!


Q: Magari siamo più aperti e gentili nei confronti di estranei che non con i parenti nell'ambito del co-living, perché non ci aspettiamo molto. Il “multi-stanze con bagno privato” potrebbe essere una soluzione per il co-living? Qual'è il trend a New York City?
A: Penso che tu abbia ragione. Ci sono in gioco dinamiche differenti con estranei e ognuno si sente più responsabile, a parte il fatto che chi sceglie il co-living é di per sé più propenso a fare concessioni.
A  New York City aziende come CommonFounder House, e WeLive offrono appartementi arredati con cucine condivise, bagni ed aree comuni e non riescono a soddisfare tutte le richieste. È un fenomeno in crescita e persino The New Yorker ha dedicato un articolo intero all'ascesa delle Co-living Startups nel maggio del 2016. Bisogna però ricordare che queste start-ups si rivolgono ai “millennials” e non a famiglie intere.

Q: L'ultima domanda riguarda la gestione di questi spazi co-living – la città è pronta per queste nuove forme dell'abitare? Ci sono aiuti ufficiali per la creazione di questi spazi?
A: Le case co-living houses in New York City ad oggi sono di proprietà privata e gestite come start-up. Si tratta di investitori che vogliono guadagnare. Sulla scia di Uber con i taxi o Spotify con la musica assistiamo ad un cambiamento. La casa in cui sono cresciuta ad Amsterdam era gestita dalla città e non-profit, grazie al fatto che 1% di tutte le nuove costruzioni dovevano essere destinate al co-living per persone in qualche modo bisognose. Non erano a disposizioni di persone benestanti. Mi piacerebbe che esistesse una via di mezzo. Il Co-living dovrebbe essere una valida alternativa per tutti, non solo per persone in difficoltà o giovani con lavori molto ben pagati.

Christiane Bürklein

Documentario: http://onesharedhouse.com/
Case Study: http://work.antonandirene.com/onesharedhouse
Immagini: courtesy by Anton & Irene

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