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Bjarke Ingels - BIG


Biografia

Lo studio BIG, fondato da Bjarke Ingels nel 2005, è uno degli studi più all’avanguardia nella definizione di scenari e orizzonti urbani.
Coinvolto in molteplici progetti nel mondo, le opere dello studio BIG sono accomunate dallo sguardo visionario e dalla ricerca di innovative teorie sulla società contemporanea e sui suoi modi di vivere.
Nelle due sedi di Copenhagen e New York, raccoglie professionisti di tutto il mondo allo scopo di favorire l’interscambio culturale come fonte di ricchezza progettuale.
Le competenze del gruppo spaziano dall’architettura al design, dall’elaborazione di concept all’ingegnerizzazione.
Lo studio si impegna nell’esplorazione di nuovi ambiti limitrofi all’architettura, per stimolarne la ricerca e costruire diverse prospettive sulle città che vivremo nei prossimi anni. Le tecnologie di rappresentazione digitale non sono la finalità ma un mezzo per rappresentare tali prospettive.
Società, economia e ecologia sono i temi che più stanno a cuore a Bjarke Ingels e al suo team e che ognuno dei suoi progetti affronta.
La sua carriera comincia lavorando allo studio OMA di Rem Koolhaas, successivamente nel 2001 egli è co-fondatore dello studio PLOT (Julien De Smedt e Bjarke Ingels).
Dal punto di vista accademico, è stato visiting professor alla School of Architecture della Rice University e alla Graduate School of Architecture, Planning and Preservation della Columbia University e visiting professor alla Harvard University.
Nel 2004 ha ricevuto il Leone d’Oro alla Biennale di Venezia per la Stavanger Concert House e l’anno seguente si è aggiudicato il Forum AID Award per le case VM.
Il complesso residenziale The Mountain, che ha portato a Bjarke Ingels fama mondiale, ha ricevuto numerosi premi, tra cui il World Architecture Festival Housing Award, il Forum Aid Award e il MIPIM Residential Development Award.
 
 
OPERE SCELTE
 
Danish National Maritime Museum, Kronborg (Danimarca), 2013
Gammel Hellerup Gymnasium, Hellerup (Danimarca), 2013
-  Expo 2010 Danish Pavilion, Shanghai (Cina), 2010
8 house, Copenhagen (Danimarca), 2009
The Mountain, Copenhagen (Danimarca), 2007
-  Sjakket Community Building, Copenhagen (Danimarca), 2007
-  VM houses, Copenhagen (Danimarca), 2005
-  Psychiatric Hospital, Helsingør (Danimarca), 2005
-  Maritime Youth House, Copenhagen (Danimarca), 2003
Copenhagen Harbour Bath, Copenhagen (Danimarca), 2003

Intervista all'architetto Bjarke Ingels

Photo: Danish National Maritime Museum_photograph  Luca Santiago Mora
Gammel Hellerup Gymnasium_photograph Jens Lindhe

www.big.dk

Intervista

La mia prima domanda verte sulla città in cui vive, può dirmi come vede Copenhagen?

BJARKE INGELS.  Quando penso a Copenhagen, penso alla sostenibilità, in particolare a come la tecnologia non debba necessariamente causare un degrado della qualità della vita ma essere al contrario un modo per migliorarla. La sostenibilità è spesso associata al sacrificio, nel senso di dover rinunciare in parte alla qualità della vita per poter essere sostenibili. Ritengo tuttavia che a Copenhagen ci siano diversi esempi di come la sostenibilità possa in realtà migliorare la qualità della vita. A Copenhagen, ad esempio, il 37% degli abitanti si sposta in bicicletta, quindi non perdiamo tempo bloccati in qualche ingorgo o per cercare un posteggio. Le persone si muovono liberamente in città. L’acqua del porto di Copenhagen, poi, è diventata talmente pulita che è possibile farci il bagno. Questo è il tipo di atteggiamento che abbiamo adottato in alcune delle nostre opere: abbiamo progettato un edificio con parcheggi e un edificio di appartamenti dove il parcheggio crea una montagnola artificiale e tutti gli appartamenti diventano case con giardini su un pendio esposto a sud. Si gode così di una vista da attico usufruendo di un giardino in cui correre e giocare. E in uno dei nostri progetti più recenti abbiamo preso un quartiere di case di città con davanti dei giardinetti e abbiamo progettato un isolato urbano in modo che sia possibile andare a piedi o in bicicletta dal giardino all’attico. Il risultato è una sorta di situazione tridimensionale in cui lo spazio sociale invade la parte verticale della città.

Ha in corso un altro importante progetto a Copenhagen, l’impianto waste-to-energy di Amager Bakke. È una bella sfida per la città e la sua sostenibilità.

BJARKE INGELS.  L’idea centrale rappresenta l’esempio definitivo di sostenibilità: invece di gettare l’immondizia nelle discariche, ricicliamo il 42% dei rifiuti, bruciamo il 54% di questi rifiuti e li usiamo per produrre calore ed elettricità. Di fatto, il 97% delle case di Copenhagen non consumano energia per il riscaldamento anche se le temperature possono essere molto rigide, in quanto recuperano il calore da quello in eccesso prodotto dalla centrale elettrica. Questo progetto è di grande portata e sorge nel centro della città, vicino al porto. Abbiamo anche proposto di creare una pista da sci sul tetto, perché qui abbiamo molta neve ma il paese è completamente piatto. Potremmo trasformare il tetto in una pista da sci artificiale. In inverno, la gente potrebbe prendere l’ascensore per andare in cima alla centrale elettrica e scendere in sci fino al piano terra.

Si tratta di un buon esempio di combinazione di spazio pubblico e servizio urbano. Come è stato accettato il progetto dai cittadini?

BJARKE INGELS.  In genere, quando si prevede di erigere una centrale elettrica nel centro della città ci si aspettano lamentele a non finire: la gente non vuole vivere accanto ad una centrale elettrica. In questo caso invece abbiamo ricevuto moltissime e-mail da persone che chiedevano quando sarebbe stato finito il progetto perché non vedevano l’ora di farsi una sciata!

Più di recente si è aggiudicato un altro importante concorso internazionale per la costruzione di un nuovo complesso culturale da 27.000 m2 in Albania, può dirci qualcosa di più a proposito di questo progetto?

BJARKE INGELS.  Si tratta di un complesso culturale. Come probabilmente saprà, attualmente a Tirana ci sono delle tensioni a causa dell’avvicinarsi delle elezioni e quindi siamo ansiosi di vedere come si evolveranno le cose. Il progetto riguarda un complesso con un Museo dell’Armonia Religiosa, un Centro Islamico e una Moschea. L’idea base è quella di integrare la vita pubblica con lo spazio religioso allo scopo anche di integrare la religione nella città. Ci siamo recati diverse volte a Tirana per dare un’occhiata al progetto, sempre nei fine settimana, al venerdì e nelle e nelle festività. In queste occasioni, abbiamo constatato che l’attuale moschea è troppo piccola e molti fedeli rimangono a pregare fuori, sulle strade. La nostra intenzione è coniugare la griglia cittadina di Tirana con l’orientamento verso la Mecca. Al piano terra, tutti e tre gli edifici sono orientati verso la Mecca per creare una piazza davanti alla moschea, mentre a livello del tetto l’edificio segue la griglia delle strade cittadine e dei muri. L’idea è utilizzare queste due direzioni per creare uno spazio esterno semicoperto, estendendo praticamente la moschea all’esterno, verso la strada ma anche invitando la strada e lo spazio pubblico nella moschea, creando una sorta di sovrapposizione, per metà all’interno e per metà all’esterno, metà moschea e metà Tirana.

Lei coinvolge sempre la città nei suoi progetti e in genere si occupa di progetti sociali, ma quale ritiene sia il rapporto tra architettura e politica?

BJARKE INGELS.  Ritengo che la politica consista nel cercare di ascoltare le richieste, i desideri e le preoccupazioni dei cittadini e trasformare queste esigenze collettive in realtà attraverso la rappresentanza; in modo molto simile, anche se più celato, l’architettura consiste nel dare risposta alle esigenze e preoccupazioni dei cittadini. In qualità di architetti ci adoperiamo continuamente per coordinare lo sforzo collettivo finalizzato a garantire che le nostre città e i nostri edifici siano idonei a consentirci di vivere come desideriamo e, in un mondo ideale, questo è ciò che dovrebbero fare anche i politici.

Ritiene che l’architettura sia uno strumento promozionale per la politica o che la politica sia lo strumento per gli architetti per raggiungere qualcosa di importante in una città?

BJARKE INGELS.  Ritengo che entrambe queste affermazioni siano probabilmente vere: un progetto architettonico può a volte avere un significato promozionale ma anche noi come architetti dobbiamo lasciarci coinvolgere dalla politica perché, in qualche modo, la politica modella la realtà in cui lavoriamo. In Italia, ad esempio, è strano vedere il caso di Stefano Boeri, organizzatore di Festarch e redattore di Abitare, che era una volta un architetto interessato alla politica ed ora è probabilmente più un politico interessato all’architettura. Stranamente è un po’ come avere la stessa preoccupazione di migliorare continuamente la vita quotidiana delle persone e farlo attraverso la legislazione invece che con la progettazione e, fortunatamente, possiamo continuare a fare entrambe le cose.

Piuttosto difficile immagino. Cosa prova quando viene definito “l’Enfant terrible” del design e dell’architettura?

BJARKE INGELS.  In realtà non so niente di questo! Ritengo tuttavia di essermi reso conto sin dagli inizi della mia carriera di essere spesso più interessato alla società piuttosto che a guardare l’architettura in isolamento. Invece di considerare l’architettura come una forma d’arte autonoma, isolata dal resto del mondo, ritengo che il ruolo dell’architettura e degli architetti debba prevedere il completo coinvolgimento con il resto della società. Di conseguenza, a volte i nostri progetti possono riguardare più le persone che non sono architetti, perché creano delle possibilità che in qualche modo si inseriscono nella vita quotidiana. Nel padiglione danese di Shanghai ad esempio c’era una vasca. L’idea era quella di creare un’architettura attiva dove poter camminare e andare in bici attraverso il padiglione e le mostre, immergere le dita dei piedi nella piscina nel centro. C’è un banco socialmente provocatorio che promuove varie forme di interazione con il padiglione. C’è un manufatto sotto forma di una fontana che diventa quasi un campo giochi per i bambini. Si tratta quindi, sotto molti aspetti, di un’architettura che non cerca solo di apparire bella o poetica ma che crea realmente delle possibilità. Qualcuno potrebbe obiettare che creare una pista da sci in cima a una centrale elettrica non ha niente a che vedere con l’architettura ma è in qualche modo l’architettura dell’organizzare tutti gli aspetti della vita umana in nuovi mix. Una specie di simbolo della sostenibilità umanistica, economicamente ed ecologicamente sostenibile perché trasforma la spazzatura in energia ma anche socialmente sostenibile in quanto trasforma una centrale elettrica in un parco pubblico.

Intervista di Flores Zanchi

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